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Qualcosa di strano sta accadendo in Inghilterra, qualcosa che ci fa notare delle fioriture e del movimento nel contesto di una scena musicale che sembrava riposare sotto le morbide coltri del New Prog corrente che, nella terra di Albione, rappresenta ormai la forma espressiva del Prog più apprezzata e praticata. Ecco quindi che, dopo il risveglio dei Thieves' Kitchen con il delizioso "The Water Road", un'altra splendida fioritura di sonorità vintage giunge a colorare questa sesta prova discografica della band di Bournemouth. Che i Big Big Train fossero cresciuti lo avevamo capito fin dal precedente "The Difference Machine" e questo nuovo album rappresenta la prova della raggiunta maturità. Come per il precedente lavoro viene giocata la carta delle collaborazioni di prestigio e troviamo infatti Nick D'Virgilio alla batteria, Dave Gregory (XTC, Peter Gabriel) e Francis Dunnery (It Bites) alla chitarra e Jem Godfrey (Frost*) alle tastiere; ma soprattutto il gruppo sceglie di ampliare la base degli strumenti d'orchestra, che comprendono ora trombone, violoncello, flauto, tuba, cornetta e corno inglese e, dulcis in fundo, si inaugura un nuovo vocalist al posto di Sean Filkins, che militava nella band dal 2004, e cioè David Longdon, passato alla storia per essere uno dei candidati più quotati a diventare la voce dei Genesis, sorpassato all'ultimo momento da Ray Wilson. Bisogna dire che le potenti qualità vocali di David, che presentano non poche affinità con l'ugola di Gabriel, si fanno notare in questo disco e rappresentano sicuramente un valore aggiunto alla musica della band. Ma non vi aspettate che la musica sia solo un semplice trampolino di lancio che permetta di far risaltare il cantato di Longdon: il pregio del disco sta sicuramente nella ricchissima elaborazione degli arrangiamenti, con generose dosi di Mellotron e bei ricami orchestrali, inseriti con eleganza, senza esagerare con inutili farciture. I richiami ai grandi classici del prog sono evidenti, Genesis in prima istanza, e anche Yes (soprattutto in "Last Train"), ma comunque viene conservata una certa linearità di fondo, un'impronta profondamente melodica che rende questo album davvero conforme ai gusti di tutti, per la sua scorrevolezza, per la sua profonda ispirazione melodica, senza però stancare attraverso formule trite e ritrite gli ascoltatori più esigenti. Sicuramente la traccia di apertura, "Evening Star", è quella che impressiona di più: si tratta infatti del biglietto da visita di questo nuovo CD e vengono scelte quindi soluzioni orchestrali delicatamente complesse. Questo breve strumentale crea inoltre i giusti sentimenti di attesa che ci porteranno a scoprire infine la voce di David, la quale diventa presto familiare all'ascoltatore, attraverso ritornelli, intrecci vocali e cori, che qui sono ampiamente rappresentati. Accanto a linee vocali ampie e praticamente cantabili, anche se non si tratta mai dei classici prototipi radiofonici, non si rinuncia mai ai momenti strumentali, con una bella inventiva nella creazione delle linee melodiche, parti solistiche nei momenti opportuni ed una scelta timbrica adeguata e curata e devo dire che proprio per queste attenzioni l'album si fa apprezzare in maniera particolare. Mi piace citare in questo senso "Winchester Diver", distesa ed elegante, con i suoi intrecci fra Mellotron, flauto e arpeggi acustici che creano una corrente emotiva altamente suggestiva. Ma la sorpresa sta in fondo e si tratta di una lunga suite, la title track di quasi 23 minuti, in cui la band si gioca praticamente tutto e vince, a mio giudizio, la sua partita. Forse avrei gradito un uso più diffuso degli strumenti d'orchestra, che proprio nella suite danno il meglio, ma quella operata dal gruppo è comunque una scelta musicale valida che va a vantaggio della fruibilità e della leggerezza dell'album. Un ottimo modo di concludere il 2009 per gli amanti delle sonorità sinfoniche e romantiche che possono contare, una volta tanto, su un album davvero consistente ed artisticamente valido.
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