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And then there were two… Parafrasando un celebre album dei Genesis, introduciamo così il nuovo lavoro dello storico gruppo polacco SBB che, dopo tantissimi anni a suonare come trio o quartetto, si ritrova a far proseguire la sua storia soltanto con i membri storici Jozef Skrzek e Apostolis Anthimos. Da quando negli anni ’90 hanno rispolverato la gloriosa sigla, i due sono andati alla ricerca di un batterista che sostituisse adeguatamente Jerzy Piotrowski, con il quale tante meraviglie avevano fatto nei Seventies. Nonostante si fossero affidati a drummers di esperienza e di qualità anche enorme (si pensi, in primis, a Paul Wertico del Pat Metheny Group) e abbiano sempre fatto faville in concerto, gli album realizzati dopo la reunion, pur contenendo alcune perle ed evidenziando una professionalità da grande band, lasciavano sempre un po’ di amaro in bocca. C’era sempre un che di incompiuto o di poco convincente, oltre che una spinta verso il facile ascolto, che non rendeva giustizia ad un gruppo che ha scritto grandissime pagine di progressive rock. La decisione di proseguire come duo sembra aver rivitalizzato l’estro di Skrzek e Anthimos che finalmente sfornano un album con ottanta minuti pieni pieni di musica di grandissima qualità, mostrando un momento di ottima ispirazione e recuperando certe caratteristiche che hanno reso celebri gli SBB. A giudicare dai titoli e dalla sequenza delle sedici tracce presenti sembrerebbe trattarsi di una sorta di concept molto autoreferenziale, nel quale i due hanno voluto ripercorrere musicalmente la lunga carriera che li ha portati dagli esordi al 2012. Si inizia con il primo brano intitolato “Piwnica” (“Seminterrato”) e si prosegue poi con “Niemen” (chiaro riferimento al leggendario Czesław, musicista e punto di riferimento della scena polacca, con il quale mossero i primi importantissimi passi) e con altri pezzi dai titoli significativi (“Compleanno a Roskilde”, “Volo a Chicago”, “Separazione”, “America” fino a giungere al conclusivo “Requiem” che, se ho capito bene, è una dedica a quei colleghi che non ci sono più), che sembrano narrare cronologicamente la loro storia (il booklet darebbe ulteriori indicazioni, ma è tutto scritto in polacco). Lontani dalla forma canzone che ha spesso caratterizzato la gran parte degli ultimi lavori, stavolta Skrzek e Anthimos si concentrano sulla parte musicale e realizzano una serie di composizioni principalmente strumentali, lasciando, per di più, quelle poche parti cantate a vocalizzi e onomatopeie. Si nota, così, una verve nuova e frizzante e si getta un ponte verso il passato, pur mantenendo le distanze da quelle che potevano risultare pallide imitazioni dei tempi andati. Il disco è lunghissimo ma non stanca mai, trasmettendo anche una certa immediatezza da individuare forse nella spontaneità con cui il duo si presenta per l’occasione, visto che molto spesso sembra improvvisare alla grande come succede spesso sul palco da decenni a questa parte. Anthimos si destreggia, oltre che alla chitarra, anche alla batteria, con uno stile pulito ed essenziale, mentre Skrzek, come sempre, è impegnato con basso, tastiere e voce. Le prime tracce “Piwnica”, “Niemen” e “Bunkry wiedeńskie” ci introducono nel cuore del lavoro, con tastiere in bella evidenza ed eleganti rifiniture di chitarra, creando atmosfere un po’ sognanti e fuori dal tempo, passaggi solidi e dalla vena un po’ classicheggiante, con qualche influenza crimsoniana, rievocando certe esperienze live del gruppo, da sempre abilissimo a “jammare” e mostrando subito quella spontaneità di cui parlavamo prima. Poi c’è un magnifico viaggio in più stili che riesce comunque ad andare in un'unica direzione e a far mantenere una forte compattezza all’album. Volete il blues in una personalissima rilettura à la SBB? Ecco a voi serviti “74”, un bellissimo blues-rock travolgente e “Memento”, dai ritmi più compassati. In entrambe, Anthimos dà un vero e proprio saggio di bravura con la sua sei corde che vola in assoluta libertà. Con “Zwatpienie Lakisa”, “Urodziny w Roskilde”, “Rozstanie” e “Seged” si passa a soluzioni ambient e/o new age, con toni, quindi, particolarmente tranquilli. Quanto al jazz, lo troviamo soprattutto in tre pezzi abbastanza brevi: “Aries”, episodio melodico, con una sorta di fusion molto zuccherosa ed orecchiabile, “Lot nad Chicago”, tassello spigliato e allegro e la methenyana “Muzy”. Decisamente incantevole “Ameryka”, un rock sinfonico dai ritmi compassati e l’andamento romantico in cui è ancora Anthimos a lanciarsi in solos di grande fascino, mentre il canto di Skrzek fa il resto. Simili coordinate, anche se meno allettanti, per la troppa pacatezza, in “Nowy wien”. Il finale è affidato all’accoppiata “Zaufanie” – “Requiem” che chiude alla grande il cd, dapprima con una sorta di personalissimo space-rock, con chitarra e tastiere liquide a incrociarsi e il solo basso a dettare tempi lontani, poi con undici minuti di un sound magnetico, di ricerca, di dissonanze che diventano per alcuni secondi melodie, di schegge di follia dalle connotazioni dark, di lontani echi di Crimson remoti, in quello che è il brano più sperimentale degli SBB da un bel po’ di anni a questa parte. Un disco quindi pienamente convincente, che scorre agilmente, con una serie di composizioni la cui qualità media si mantiene sempre elevata. Finalmente la prova in studio che attendevamo da tanto (troppo?) tempo, da parte di due musicisti che si mostrano in buonissima forma e che pensano semplicemente a impegnarsi in quello che sanno fare meglio, ovvero suonare con la massima naturalezza; la speranza è che sia solo un primo passo verso nuovi lavori che possano mantenere una simile vena e questa stessa freschezza.
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