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Partiamo da un assunto molto semplice: se c’è un musicista dei Genesis che oggigiorno si può davvero permettere di mettere mano al repertorio della storica e amata band, si tratta di Steve Hackett! Il chitarrista ha sempre mostrato grande rispetto per il periodo prog dei Genesis, a differenza dei suoi ex compagni, alcuni dei quali spesso ne hanno parlato in modo persino denigratorio. Sia attraverso i ripescaggi nei concerti, sia nel modo in cui tratta l’argomento nelle interviste, Hackett ha sempre fatto capire che è orgoglioso di quei fasti ormai lontani ed è rimasto l’unico di quel nucleo che ha fatto la storia a far vivere quella musica anche negli anni recenti. Già nel 1996, inizialmente per il solo mercato giapponese, uscì un po’ a sorpresa l’album “Genesis revisited”, in cui furono riprese alcune celebri composizioni dei Genesis, spesso stravolgendole, coinvolgendo numerosi ospiti anche dal grande nome e ottenendo risultati e giudizi altalenanti. Dopo sedici anni Hackett, nuovamente aiutato da un bel po’ di musicisti, si ripresenta con un doppio cd, quindi dalla lunghissima durata, in cui si cimenta in nuove registrazioni di capolavori del passato. In questa occasione, però, è stato fatto un lavoro molto diverso, visto che fondamentalmente gli arrangiamenti sono rimasti gli stessi delle incisioni storiche e sono pochissime le novità, consistenti spesso in brevi introduzioni di chitarra acustica o classica, nel suono di un carillon prima di “The musical box” e in qualche inserimento di archi qua e là. Piuttosto in fase di mixaggio si è scelto, ovviamente, di dare un risalto maggiore alla chitarra rispetto alle versioni originali. Può apparire curioso, inoltre, l’inserimento di quattro tracce appartenenti al repertorio solista di Hackett (“Please don’t touch”, “A tower struck down”, “Camino royale”, “Shadow of the hierophant”). In realtà, si tratta di brani, oltre che meravigliosi, che hanno comunque un forte legame con il mondo genesisiano, considerando che due di esse erano state provate dalla band negli anni ‘70, in una avevano suonato Mike Rutherford e Phil Collins ed un’altra è nata da un sogno nel quale il chitarrista suonava con i suoi vecchi compagni. Ora bisognerebbe parlare un po’ di qualità della musica e del prodotto. Be’, per la musica c’è davvero poco da dire. Andate a leggere la scaletta (e se l’elenco delle tracce vi dovesse dire poco è inutile non solo che leggiate questa recensione, ma anche che navighiate sulle pagine di Arlequins e di qualsiasi altra webzine dedicata al prog!) e tenete presente, come accennato, che si tratta degli arrangiamenti noti, di esecuzioni perfette e di un lavoro ineccepibile. Nessuno stravolgimento, quindi, soltanto una chitarra molto più protagonista a livello di volume ed un alternarsi di cantanti diversi e spesso noti (Mikael Åkerfeldt, Jakko Jakszyk, Neal Morse, John Wetton, Steven Wilson, Nad Sylvan, Simon Collins – sì, proprio il figlio di Phil – tanto per citarne alcuni), autori di pregevoli performance, anche se, da questo punto di vista, replicare la magia di Gabriel e Collins è un proposito alquanto improbo. Ma è inutile negarlo: in quasi due ore e mezza, quella musica a cui siamo tanto legati fa ancora venire i brividi! Il problema arriva quando ci si fa qualche domanda sull’utilità di un album del genere. Sicuramente è sempre meglio di una qualsiasi antologia uscita dei Genesis, ma ce n’era davvero bisogno? Non credo che Hackett abbia voluto prendere in giro i fan e gli appassionati e sono certo che un grosso peso sia stato dato anche all’amore provato verso questa musica. Probabilmente si trattava di un tipo di lavoro che il chitarrista sentiva di dover fare per innanzitutto per sé stesso e ad ogni modo devono aver giocato sia fattori commerciali (perché, volenti o nolenti, una scaletta del genere attrae e perché si è voluto dare un punto di riferimento al tour con i concerti di materiale dei Genesis), sia fattori egoistici di un musicista non del tutto soddisfatto del fatto che la “voce” del suo strumento a volte non apparisse nella giusta evidenza nelle composizioni originali. “Genesis revisited II”, quindi, sembra avere più senso ed utilità per Steve che non per i potenziali ascoltatori, che possono solo scegliere se supportare (come ogni fan farà di sicuro) questa scelta artistica, discutibile nonostante la stratosferica qualità della musica, o se indirizzare i propri risparmi verso qualcosa di più originale. Certo, se siete amanti della musica dei Genesis vi sfido ad ascoltarlo e a non farvi venire la pelle d’oca!
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