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Finito il campionato di calcio, uscita di scena Luna Rossa dalle acque spagnole, aspettando il Tour de France con la rivelazione di qualche altro ciclista dopato, l’estate 2007 sarebbe continuata liscia come l’olio e senza motivi di discussione sotto gli ombrelloni per il progster medio e non solo…ma quando meno te l’aspetti…zac!…arrivano i Dream Theater e l’estate cambia!
Masse di fan progressivi tutti uniti in corteo per parlare male dell’ultimo lavoro di Petrucci e compagnia senza nemmeno averlo ascoltato, altrettante masse che ne sono entrati in possesso pronte a sfondare i muri di contenimento fatti dalla polizia al grido di ”aridatece Metropolis”. Organizzazioni di serate comiche con la partecipazione di emuli di Labrie da prendere a pomodorate in faccia nello stile della Corrida di Gerry Scotti. Tavole rotonde con ospiti ministri e veline sul perché del cambio d’etichetta e dell’approdo alla Roadrunner.
I Dream Theater nel bene e nel male sono cresciuti con me, e sinceramente, avendo io un background principalmente metal e hard rock da “ragazzino” non riuscivo veramente a capire che cosa attirasse di questo gruppo gli amanti del progressive. Li ho sempre considerati come una delle migliori band a livello tecnico e melodico in ambito metal.
Sono arrivato alla conclusione che il popolo progressivo ascolti i Dream Theater per avere occasione di parlare di qualcosa che ogni tanto entra in classifica e che si accosta, e sottolineo accosta, a qualche sonorità a lui familiare. E’ difficile, infatti, per il 40 - 50 enne capire che cosa smuova un assolo di Petrucci o un acuto di LaBrie nel figlio 18enne quando lui da ggggiovane ascoltava Hendrix, Gilmour, Anderson, Hammil etc. Ed è altrettanto difficile far capire a quella generazione (e non solo quella), che non è automatico passare da "Pawn Hearts" ad "Awake" senza rischiare di creare nuovi record mondiali di lancio del cd indoor.
Quindi potrei finire questa recensione consigliando vivamente di non comprare l'ultima fatica dei Dream Theater.
Tutti sappiamo che esistono centinaia di lavori migliori, e sprecare soldi e orecchie per questo disco sarebbe inutile. Poco importa che "Systematic Chaos" sia formato per l’ottanta per cento da belle canzoni, che non cambiano il mondo ma che si lasciano ascoltare in maniera gradevole. Poco importa che forse per la prima volta c’è la melodia al servizio della tecnica, e non il contrario.
Poco importa che non so quanto stupidamente (visto l’accoglienza e l’ilarità che smuove ogni nuovo lavoro nel pubblico colto) il gruppo abbia puntato per il singolo per un brano per il quale Lars Ulrich e James Hatfield firmerebbero cambiali per 15 anni. Poco importa che LaBrie abbia deciso di strillare di meno e cantare di più.
Poco importa che se pur minimamente (e in maniera non riuscita) il gruppo abbia tentato di rinnovarsi prendendo spunto non so quanto ruffianamente dai Muse ("Prophets of war") o dai Tool. ("Repentance").
Poco importa che questo lavoro cancelli quella cosa ignobile come Octavarium, veramente una presa in giro per tutti coloro che amano il progressive che, come si dice dalle mie parti, con quei venti minuti erano stati resi “contenti e coglionati”.
"Systematic chaos" è un disco che non soddisferà né gli amanti del metal né gli amanti del prog, nonostante questo è, per quello che conta il mio parere, la loro migliore cosa dai tempi di "Six Degrees of Inner Turbulence".
Ma questo sarebbe il caso che il progster medio se lo dimenticasse e ricominciasse a tirare pomodori ad alzo zero.
Salviamo la musica progressive, ignoriamo i Dream Theater.
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