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Lo stato di forma di Christian Decamps e dei nuovi Ange si mantiene buono, ma forse in leggera flessione. L’album in studio del 2012, intitolato “Moyen-âge” ci mostra un gruppo ancora capace di catturare viva l’attenzione dell’ascoltare, ancora in grado di ruggire forte e di mantenersi al passo con i tempi e le dodici tracce del cd offrono nuovamente un sound robusto ed elegante allo stesso tempo. Già i primi due brani mostrano le varie anime degli Ange: dirompente l’opener “Tueuse à gages”, più morbida e raffinata la seguente “Le premier arrive attend l’autre”. Il pregio degli Ange del nuovo millennio è stato proprio quello di saper rinnovare, senza snaturare, quelle caratteristiche che li avevano resi celebri negli anni ’70, tra riferimenti classicheggianti, potenza, eleganza, teatralità e voglia di stupire. E in un modo o nell’altro queste peculiarità vengono fuori pienamente ancora oggi, adeguandosi ai tempi moderni, con timbri più tecnologici, con un sound pulitissimo (ma forse meno caldo di quello “sporco” dei seventies), con la ricerca anche di quel “tiro” che permetta un ascolto non troppo impegnativo. Le nuove composizioni presenti in questo cd sono belle e ben costruite e, ovviamente, eseguite alla perfezione da musicisti affiatati e preparati. Manca il pezzo forte, manca l’impatto che hanno avuto una “Cadavre exquise” su “Culinaire lingus” o le title-tracks di “Souffleurs de vers” e “Le bois, travaille, même le dimanche”, ma davvero c’è poco da rimproverare ad un gruppo che ancora tiene alte le sue quotazioni e riesce a realizzare validi lavori con una certa costanza. I punti forti dell’album: la maestosità e i ritmi marziali di “Un goût de pain perdu”, con chitarra e tastiere che per nove minuti dettano un tema ossessivo e coinvolgente, il riff granitico che guida l’hard rock convincente di “Le cri du samourai”, il romanticismo e la teatralità di “A la cour du Roi Nombril” e “Abracadabra” (che rievocano un po’ i “vecchi” Ange), la splendida coda strumentale di “Je ne suis pas de ce monde” (con mirabolante assolo alla sei corde di Hassan Hajdi), i cambi d’umore di “Entre le gouttes”. In genere le varie composizioni hanno una struttura abbastanza lineare, sembrano scorrere naturalmente e le parti cantate sono spesso predominanti. Ottima la prova del sempiterno Christian Decamps, ma tutti i musicisti svolgono i loro compiti al meglio, mostrando una volta di più grande coesione, buone doti tecniche e capacità di essere convincenti sia quando devono accompagnare il vocalist, sia quando devono spingere verso direzioni diverse e lanciarsi in spazi strumentali tipici del rock sinfonico. Da segnalare anche la consueta parentesi vicina alla canzone francese in chiave rock con “Les mots simples” e cogliamo l’occasione per comunicare che non c’è più nella line-up la bravissima cantante Caroline Crozat, protagonista negli ultimi anni di gustosi siparietti con Decamps e di ottime performance in pezzi di questo tipo. Gli altri brani finora non citati (“Opera-bouffe, ou la Quete du Gras”, “Camelote”, “Les clés du harem”) non li definirei “riempitivi” e contengono anche spunti interessanti, ma di sicuro non è che lascino il segno… Alla fin fine quello che si nota è che “Moyen-âge” è l’ennesimo buon disco di una band che continua a mostrarsi in forma, ma segue un filotto di grandissime prove rispetto alle quali sembra mancare qualcosa risultando, quindi, meno ispirato
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