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Sono passati solo pochi mesi da “Gulliver” ed eccoci nuovamente a parlare del duo Marco Bernard/Kimmo Pörsti (2/3 dei Samurai of Prog) alle prese con un nuovo lavoro, “La tierra”. Anche in questa occasione, dunque, il terzo “Samurai”, Steve Unruh, appare solo in qualità di ospite. Collaborano all’impresa anche Oliviero Lacagnina, Alessandro Di Benedetti e John Hackett, nella ormai consolidata formazione “aperta” che contraddistingue l’operato del duo italo-finlandese (ed americano, nel caso il prodotto fosse a firma SoP…). Soluzione, quella delle molteplici cooperazioni, che è uno dei punti di forza del progetto visto che la qualità delle proposte è sempre ottimale. Tra le novità dell’album l’assenza del talento visionario di Ed Unitsky, infatti l’artwork è affidato all’artista tedesca Nele Diel, con esiti diversi, ma comunque di livello. “La tierra” è una sorta di album a tema, tra il reale ed il fantastico, che affronta i rapporti tra Uomo e la Terra non di rado vittima di devastazioni che hanno portato il nostro pianeta ad una situazione di (irreversibile?) degrado. Il lavoro si dipana attraverso sei tracce (una delle quali strumentale), caratterizzate dall’uso della lingua spagnola quale trait d’union, in quanto uno dei primi pezzi composti, la suite omonima che chiude l’opera, è stata concepita da Jaime Rosas appunto nella sua lingua madre e si è voluto, quindi, dare omogeneità stilistica a tutti i brani. “Vuelo sagrado” ha il compito di aprire l’album: il brano, di circa nove minuti, ci permette subito di apprezzare la splendida voce di Ariane Valdivié, gli interventi cesellati del violino di Unruh, la solita rocciosa sezione ritmica del duo titolare del progetto, la vena romantica degli interventi delle tastiere di Eduardo Salueňa e della chitarra di Ruben Alvarez. Insomma, un inizio davvero convincente sotto ogni aspetto. “El error” (appena sopra gli undici minuti) è un’altra piccola perla: le tastiere del “nostro” Alessandro Di Benedetti (autore di musica e testi) sono ovviamente protagoniste, ma lasciano comunque largo spazio alle chitarre di Rafael Pacha ed al “solo” di Ruben Alvarez. Il flauto di John Hackett è la classica “ciliegina” sulla torta a cui si aggiungono le delicate vibrazioni offerte dalla sempre ottima Valdivié. Ancora autori italiani protagonisti in “Voz de estrella que muere” con musiche di Oliviero Lacagnina e liriche di Sonia Vatteroni. L’inizio è soffuso e delicato con la voce della Valdiviè che si incastona perfettamente nelle atmosfere oniriche del brano, riecheggia di tanto in tanto ancor il violino di Unruh e fanno capolino il flauto dolce, la tromba ed il corno francese. La seconda parte è appena più movimentata, con una ritmica più presente, soluzioni sinfoniche delle tastiere di Lacagnina doppiate dal “solo” dell’elettrica del solito Alvarez. “Ansia de soñar” presenta un cambio di vocalist: il microfono passa a Marcelo Ezcurra (autore pure del testo, su musiche di Octavio Stampalia), ma il risultato è sempre eccellente. Un prog sinfonico e melodico sono gli ingredienti perfetti a cui si aggiunge il cameo di John Hackett al flauto, le sventagliate di synth di Stampalia e l’efficace chitarra di Pablo Robotti. Come in molti progetti SoP, non poteva mancare il contributo strumentale di David Myers ed il suo pianoforte nella breve “Canción desde la caravana”, malinconica pièce di poco più di tre minuti. L’ultima traccia è la lunghissima title track che sfonda il muro della mezz’ora di durata ed è una degna conclusione di questo ottimo prodotto della premiata ditta Bernard/Pörsti & C. Oltre a Jaime Rosas alle tastiere, notiamo la presenza di Marek Arnold al sax (Seven Steps Into The Green Door), di Rodrigo Godoy (Entrance) e Rafael Pacha alle chitarre e del vocalist Jaime Scalpello (sempre degli Entrance). Un brano con tutte le caratteristiche tipiche di una suite di grande livello: imponente il parco di tastiere di Rosas che impressiona per duttilità ed enfasi, le parti strumentali sono sempre convincenti, il cantato di Scalpello molto valido così come gli interventi delle due chitarre. Particolarmente riusciti sono i momenti più delicati in cui l’afflato malinconico della lingua spagnola emerge piacevolmente, ma anche le fasi più rock non sono da meno con il sax di Arnold valore aggiunto. Ancora una volta, malgrado una produzione abbondante (e prima della fine dell’anno sono previste altre due uscite targate “Samurai”…) la scommessa del duo italo-finlandese Bernard & Pörsti risulta vincente e “La tierra” si candida, senza dubbio alcuno, per essere tra le migliori produzioni progressive del 2020.
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