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Sono passati pochi mesi dall’ultimo lavoro a nome Samurai of Prog, “Anthem of the Phoenix Star” e ancora meno dall’album di esordio di Marco Bernard (“The boy who wouldn’t grow up”), che dei “Samurai” è uno dei membri fondatori, ed eccoci nuovamente pronti a parlare di questa band “atipica”. L’occasione, stavolta, è fornita da “The man in the iron mask” che vede Oliviero Lacagnina (Latte e Miele) unico autore delle musiche con la collaborazione, per le liriche, di Steve Unruh, Sonia Vatteroni ed Aldo Cirri. L’album, come già avvenuto in molti casi nella numerosa discografia del gruppo, è un concept incentrato sulla “mitica” figura della maschera di ferro, il prigioniero misterioso dapprima nella fortezza di Pinerolo ed infine alla Bastiglia, presunto gemello o fratellastro di Luigi XIV. Il lavoro si snoda in diciassette composizioni (ma possiamo considerarle come un’unica lunga suite di sessanta minuti), molte delle quali strumentali, con il solito contributo di ospiti che abbiamo, con il tempo, imparato ad apprezzare sia nei progetti “Samurai” sia in quelli paralleli: Marcel Singor, Rafael Pacha, Marek Arnold, Federico Tetti ed altri ancora. Di grande impatto visivo, al solito, la copertina ad opera di Ed Unitsky e l’esaustivo libretto accluso. I molteplici brani non ci consentiranno di commentarli singolarmente, ma se amate il prog sinfonico con numerosi inserimenti “classici” e citazioni da Bach e Lulli (tra gli altri), non potrete che convenire che ci troviamo al cospetto dell’ennesimo ottimo prodotto. Qualche eccezione è, però, doverosa e non può prescindere dal trittico iniziale: “The iron mask ouverture”, “Celebration of the birth of the king” e “Berceuse to the king”. Il rock e la musica barocca si sposano alla perfezione nei primi due pezzi (con frammenti tratti da musiche del compositore di corte di Luigi XIV e di Bach), mentre la terza traccia, cantata splendidamente da Unruh, colpisce per gli interventi del sax di Arnold e dal flauto dello stesso Unruh, a creare un’atmosfera senza tempo. Segnalo poi la splendida “Dance at the court” dove pare veramente di essere tra le stanze dei palazzi reali durante le feste danzanti della corte, grazie alle sapienti orchestrazioni di Lacagnina che, nella capacità di fondere rock e classica ci offre i suoi spunti migliori, senza appesantire la composizione. Infine, è bene ricordare, almeno, “The Fortress” che, per contro, si dipana malinconica come, afflitta e triste, sarà sicuramente stata la “maschera di ferro” prigioniera. Un album musicalmente ineccepibile che pecca un poco solo nelle linee melodiche vocali, non sempre brillantissime, benché pertinenti alla storia narrata. Anche questo ennesimo “esperimento” Samurai Of Prog è, dunque, ampiamente promosso, nell’attesa (certamente breve) del prossimo.
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