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Quarto capitolo del progetto di Marco “The samurai of prog” Bernard e dei suoi compagni di avventura Kimmo Pörsti (batteria) e Steve Unruh (voce, violino e flauto). Il nuovo album, “Lost and found”, è un doppio cd con 5 brani presenti nel primo ed una lunga suite di 58 minuti ad occupare il secondo supporto. “Persi e ritrovati”, l’azzeccato titolo, fa riferimento a 5 dei 6 brani presenti (unica eccezione la breve “Along the way”) che furono composti (e mai pubblicati) da band degli anni ’70 ed oggi “recuperati” dai 3 Samurai e confezionati in una veste nuova di zecca. Incontriamo quindi “Preludin” composta dal violinista dei Pavlov’s Dog Richard Nadler (o Siegfried Carver se preferite… a dimostrazione che la band non era solo la voce di David Surkamp e… “Julia”); la lunga “Inception” brano inedito dei Lift; “She” dei misconosciuti Odyssey, ed ancora “Plight of the swan” brano dei Cathedral e, per finire, “The demise” dei Quill. Brani che all’epoca non ebbero fortuna, vuoi per i mutati gusti del pubblico, vuoi per lo scioglimento delle band, vuoi, ancora, per la scarsa fiducia delle case discografiche. E mai una simile opera di recupero è più appropriata anche perché numerosi dei protagonisti di allora sono ospiti della release di oggi. Che volere di più! La prima traccia di “Lost and found” è lo strumentale “Preludin” (ospite un altro Pavlov’s Dog, Steve Scorfina) dove protagonisti sono il violino ed il flauto di Unruh, ben sostenuti dal Rickenbacker di Bernard e dalla batteria di Pörsti. Un ficcante assolo di Scorfina ed un paio di brillanti interventi delle tastiere di Stefan Renström (purtroppo venuto a mancare durante la registrazione dell’album) chiudono questo significativo brano. David Myers (il Tony Banks dei Musical Box) ci delizia al pianoforte in “Along the way” che precede la suite “Inception”. Qui gli ospiti sono Chip Gremillion (dei Lift ed autore del brano) ed il chitarrista dei Glass Hammer Kamran Alan Shikoh. Se polvere si era posata (non sappiamo come fosse la versione originale) beh, si è senza dubbio dissolta. Il suono è caldo, pieno, compatto, maturo, perfettamente arrangiato. Si apprezzano subito l’ottimo bilanciamento tra le sezioni strumentali ed il lungo cantato ed il lavoro di squadra che prevale sul virtuosismo individuale (presente, ma al servizio del brano e non dell’ego). Da sottolineare, a poco meno di metà brano, il pregevole inserto di flauto, che detta l’eterea atmosfera, seguito dal violino e dagli altri protagonisti. Se talvolta appare lecito, e lo è di fatto, citare i “numi tutelari” di molti gruppi (siano essi prog od altro) nel caso dei Samurai Of Prog verrebbe quasi da dire “tutti e nessuno” tanto variegata e personale è la loro proposta. Il brano volge al termine in modo soffuso e sognante e con qualche effetto speciale del sempre più convincente Shikoh. “She (who must be obeyed)“ si avvale della voce Jon Davison (ex Glass Hammer, ora negli Yes), Johan Oijen (Brighteye Brison) alla chitarra elettrica e Tom Doncourt (Cathedral) al Mellotron ed allo Hammond. Complice la voce di Davison è facile entrare sin da subito in orbita Yessound, tanto che scherzosamente, ma non troppo, avremmo visto con favore il brano in oggetto tra la track-list del recente “Heaven & Earth” dello storico gruppo inglese. Quindi, come da copione, il pezzo brilla di belle melodie ed aggraziati cori e lo stesso cantante (sgravato dal “peso” della storia con cui quotidianamente convive) dà il meglio di sé. L’ultimo brano del primo cd è “Plight of the swan” (composta nei ’70 dagli stessi autori di “Stained glass stories”) e che allinea, tra gli altri, lo stesso Tom Doncourt (dei Cathedral appunto) alle tastiere. Composizione articolata nella miglior tradizione del gruppo-madre e nella quale emerge, una volta di più, la duttilità vocale di Unruh (non lontano dal ricordare Peter Hammill, in alcuni frangenti almeno). Brano articolato, si diceva, ma non cervellotico: grande impatto della sezione ritmica, Mellotron e Hammond a go-go, duetti chitarra/violino, insomma tutto perfetto. Ed eccoci ora al secondo cd, con la maestosa, a dir poco, suite “The demise” di ben 58 (!!) minuti composta dai Quill di Ken De Loria e riarrangiata da Stefan Renström per l’occasione. Il brano ha tra gli ospiti l’ex Quill, Keith Christian (alla voce), ma anche Linus Kåse al sax e Mark Trueack (ex Unitopia) alla voce. Una composizione che, scritta circa 40 anni or sono e concepita inizialmente come una rock-opera, non riuscì, anche per le difficoltà economiche in cui versava il gruppo, a vedere la luce. Sino ad oggi almeno. Impossibile descrivere dettagliatamente 60 minuti in un solo brano, ci limiteremo dunque a dei semplici input. Sprazzi di enfasi sinfonica, parti recitate, momenti acustici, dissonanze strumentali, melodie ariose ed, ancora, travolgenti “solos” e… cornamuse!! Insomma di tutto e di più compreso qualche inevitabile momento di stanca, giustificabile per un brano cosi lungo. Detto del solito splendido lavoro di Ed Unitsky per la copertina ed il relativo libretto interno, non si può fare altro che lodare un album davvero splendido ed ovviamente consigliatissimo. E ringraziare non solo i “servitori” del prog, ma anche chi, una quarantina di anni orsono, questi brani li scrisse e che ora ne ha permesso la riscoperta. Dopo quasi due ore di ottima musica, non ci resta che aspettare fiduciosi il nuovo lavoro di Bernard & C. (peraltro già in cantiere), cercando di indovinare i nuovi importanti ospiti. Per ora sappiamo solo che si tratterà di composizioni originali…
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