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Chitarrista eclettico di estrazione jazzistica, fine ricercatore di suoni e soluzioni non convenzionali, Robin Taylor passa dalla carriera solista ad un’esperienza di gruppo con quest’album in cui è affiancato dal sassofonista Karsten Vogel, dal violinista Pierre Tassone, dal contrabbassista Johan Segerberg e dal batterista Kalle Mathiesen. L’ensemble così formato, con sede in Danimarca e col nome Taylor’s Free Universe ai lancia in un progetto di sperimentazione dal quale traspare uno spirito d’avanguardia portato avanti con talento e fantasia. Non fatevi ingannare dalla denominazione del gruppo e dal titolo dell’album, che possono far venire in mente il free-jazz o gli estremismi musicali che non di rado finiscono con l’essere astrusi e indigesti. I cinquanta minuti di questo lavoro, registrato in un giorno solo al Soundscape Studio di Copenhagen, pur di ascolto non immediato, si sviluppano attraverso una serie di collage sonori affascinanti, nei quali emergono, in particolare, le raffinate atmosfere dall’andamento indolente di “Germanism”, i veloci intarsi strumentali sui ritmi folli di “Free-bop”, le contaminazioni totali ed elettroacustiche di “Age concern”, la jam “Less is more”, dissonante e guidata dal violino tra deliri sonori rarefatti e “disturbi” percussivi e gli oltre undici minuti di “Aspects of a myth”, in cui i lancinanti suoni del sax sono controbilanciati da un violino malinconico, da un contrabbasso funereo, da ritmi irregolari e dalle dilatate note chitarristiche. Difficile individuare le percentuali di jazz, di progressive e di improvvisazione in un disco del genere, ma non penso che sia così importante fare calcoli di questo tipo quando è in realtà facile tirare le somme, rendendosi conto delle doti tecniche di questi musicisti, che hanno stoffa e coraggio da vendere e che riescono ad ottenere un risultato di qualità con una proposta non facilmente assimilabile al primo ascolto, ma meritevole di ampie lodi.
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