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Sempre più artista a tutto tondo, sempre più maturo, sempre instancabile, sempre alla ricerca. E’ lui. E’ Robin Taylor. E noi eravamo quasi preoccupati… Dopo un triennio che aveva visto ben nove lavori firmati dal musicista danese, quest’anno stavamo assistendo ad un insolito silenzio discografico. A romperlo è arrivato “Terra Nova”, disco a nome Taylor’s Universe, realizzato insieme a Karsten Vogel ai fiati, a Rasmus Grossell alla batteria e ad alcuni collaboratori. E che disco! Da una parte Taylor conferma una voglia di essere più diretto, rispetto alle espressioni di massima libertà su cui ha sempre puntato. Dall’altra mantiene quelle qualità di imprevedibilità e quell’espressività musicale lontana da qualsiasi tipo di etichetta. L’incipit, brano che dà il titolo al cd, già ci mostra qualcosa di diverso rispetto al passato, con una melodia delicata di piano, tastiere d’atmosfera, ritmi moderni, vaghi echi crimsoniani ed un sax che rifinisce elegantemente. In genere questo sound di più facile ascolto, più melodico, più basato sul lavoro di composizione, si mantiene per tutta la durata del lavoro. A dimostrazione c’è il jazz-rock orecchiabile di “Amhage west”, il vigore sinfonico non forzato e gli spunti dinamici di “Meccano” e della conclusiva “City of greed”. Alcune cose sono particolarmente rimarchevoli. Ascoltate, ad esempio, la quarta traccia “They usually come at night”, che racchiude in sé tutte le potenzialità di Taylor: una prima parte elegantemente guidata dal flicorno dell’ospite Hugh Steinmetz, che dirige il brano verso territori jazzistici, vicini anche ai King Crimson di “Islands”, un prosieguo dai toni atmosferici, dai crescendo ritmici, dalle sfuriate strumentali non distanti dal post-rock, con la chitarra straniante di Taylor e le fughe di sax di un Vogel in magnifico spolvero. E che dire dell’universo sonoro di “Metropolarization”, in cui il classicheggiante piano raffinato di base dialoga con un Hammond in seventies-style e con sintetizzatori dai timbri moderni su tempi sempre variabili? Abbondano, poi, i momenti in cui la musica è davvero totale, indefinibile, risultato di sperimentazioni sonore e di una contaminazione di generi ed in parte ereditati dell’esperienza di Frank Zappa, caratteristiche particolarmente evidenti in “Lando f lamps” e “Ruby wires”. Davvero tanta la qualità musicale contenuta nei tre quarti d’ora di “Terra Nova”.
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