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Incredibile la capacità di Robin Taylor di essere così prolifico e mantenere standard qualitativi notevoli. Anche se ha diminuito un po’ il numero delle sue produzioni rispetto a qualche anno fa, il polistrumentista danese continua a regalare interessantissime pagine musicali con costanza. E l’evoluzione del Taylor’s Universe, una delle varie “incarnazioni” della sua arte, è altrettanto sorprendente. Dal jazz-rock e dalla voglia di contaminazione, si è passati man mano ad un sound più diretto, più tipicamente sinfonico, ma sempre pieno di sorprese. Non inganni il titolo di questo nuovo album: non è un omaggio ai celebri Return To Forever, né un’opera in cui si ritorna alle origini. Si tratta, invece, semplicemente di un cd che segue la scia di “Terra Nova” e “Soundwall”, immerso in un rock sinfonico strumentale di pregevole fattura e ricco di personalità. La line-up stavolta vede, oltre Taylor, Carsten Sindvald al sax, la conferma di Michael Denner alla chitarra, Flemming Muus Tranberg al basso, Klaus Thrane alla batteria e Pierre Tassone al violino (presenti come ospiti Tine Lilholt al flauto e all’arpa celtica e Louise Nipper a brevi interventi vocali). Affiatatissimi, abilissimi, spumeggianti, i musicisti mettono come sempre le loro capacità tecniche al servizio delle composizioni. L’apertura è affidata alla sinfonica “Mooncake”, cui seguono l’ipnotica “July 6th”, pregna di atmosfere particolari, e la miscela esplosiva di “Haunted yellow house”, ricca di cambi d’umore, in cui violino, sax, tastiere e chitarra si fondono e si alternano magicamente. “The Atlas clock” è invece il brano un po’ più eterogeneo, in cui si intravede qualche contaminazione con il jazz. L’elegantissima “Earth” brilla per un inizio delicato e dominato da un suadente flauto, che poi lascia il posto a ritmi energici e agli slanci più sfrenati del sax, mentre il romanticismo di “Pink Island” si trasforma poi in un travolgente rock-blues. A chiudere troviamo la ripresa di “Mooncake”, nuova immersione in territori sinfonici affascinanti, con nuove combinazioni musicali tastiere-chitarra-violino-sax eseguite con estrema perizia, sempre distanti da imitazioni di “classici”, nonostante si riveli un keyboards-playing a tratti persino à la Emerson. Continuano splendidamente, quindi, i viaggi musicali di Taylor e dei suoi compagni; anche “Return to whatever” è un disco credibile e validissimo, con un prog brillante, per nulla nostalgico e che mostra creatività e modernità.
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