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Secondo appuntamento del 2009 per i Taylor’s Universe, che sfornano un nuovo lavoro degno di attenzione. “Artificial joy” prosegue la strada intrapresa da Robin Taylor da un po’ di tempo e, attraverso sonorità moderne, attente scelte timbriche ed una produzione che permette di ottenere un sound limpido, anche in questa occasione va in scena una sorta di rock sinfonico attualizzato e pronto a qualche contaminazione con il jazz. Il polistrumentista danese ci offre sette nuove composizioni che formano un album coeso e raffinato, in cui si parte sempre da alcuni temi apparentemente semplici, spesso dettati dalle tastiere o dalla chitarra elettrica, che vengono man mano elaborati e che, attraverso continue ed opportune variazioni di tempo, permettono l’inserimento degli svariati altri strumenti presenti. I Taylor’s Universe si presentano rispetto al precedente cd “Return to whatever” con una formazione leggermente allargata, visto che, oltre ai confermati Carsten Sindvald (clarinetto e sax), Michael Denner (chitarra), Flemming Muus Tranberg (basso) e Klaus Thrane (batteria), troviamo i nuovi innesti Jakob Mygind al sax e Finn Olafsson alle chitarre elettriche e acustiche (di contro, si segnala l’assenza del violino di Tassone). Ciò comporta inevitabilmente un ulteriore arricchimento timbrico e la capacità di Taylor di gestire le danze si nota anche in questa occasione, visto che dà ampio spazio a tutti i suoi collaboratori e non si mostra affatto come leader dispotico che accentra tutto verso di sé o verso pochi musicisti. Ogni composizione è ottima e alterna momenti di insieme che fanno scaturire un sound potente e sofisticato allo stesso tempo e spunti solistici in cui la classe dei singoli va in primo piano. Descrivere minuziosamente ogni traccia e ogni momento particolarmente interessante porterebbe ad una recensione che risulterebbe, oltre che lunghissima, anche dispersiva. Vi basti sapere che l’album è comunque molto compatto, il prog tecnologico e strumentale (se si eccettuano un paio di sporadici interventi della cantante Louise Nipper) portato avanti convince ancora e grazie ai continui interventi dei fiati e alle loro divagazioni jazz non si avverte molto la mancanza di quelle impennate violinistiche spesso in evidenza in passato. In poche parole la sostanza non cambia: Taylor continua irrefrenabile la sua attività compositiva e non ci sorprendiamo più se, nonostante la frequenza elevata con cui pubblica i cd dei suoi vari progetti, i risultati continuano a mantenersi su livelli così buoni.
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