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Possiamo dire che il nuovo corso dei Flower Kings è entrato a pieno regime. La band svedese ha ripreso a pubblicare nuovi dischi in studio con notevole regolarità. La formazione non è propriamente stabile e stavolta troviamo un quartetto, con il leader Roine Stolt alla voce, alle chitarre, alle tastiere e alle percussioni, Hasse Fröberg alla voce, Michael Stolt al basso e alla voce e Mirko Demaio alla batteria e alle percussioni. In più, ci sono alcuni ospiti a dar manforte, tra cui segnaliamo vecchi compagni di avventura Hasse Bruniusson e Lalle Larsson e la cantante degli Iamthemorning Marjana Semkina. Dopo una serie di album doppi, vecchia abitudine cara a Stolt e soci, è il turno di un singolo cd per poco meno di settanta minuti di nuova musica. E sulla musica non è che ci siano grandi cambiamenti. I Flower Kings sono riusciti a creare un proprio stile, sicuramente legato in maniera molto forte al prog sinfonico più classico degli anni ’70, ma che ormai è un vero e proprio marchio di fabbrica. Le tredici composizioni del cd vedono la band in un percorso caratterizzato da maggiore essenzialità, tanto è vero che, se si eccettua la traccia finale, solo una supera i sei minuti e le altre viaggiano tra i tre e i cinque minuti e mezzo circa. Sinteticità e non più prolissità, sembra questo l’orientamento. Ma il sound resta quello a cui siamo abituati da trent’anni. In alcuni brani si avverte un certo incedere maestoso, dal carattere epico, ma per lo più si tratta di un lavoro molto romantico dove è la melodia a farla da padrone. E non si può negare che l’effetto sia gradevole; d’altronde, da sempre Stolt è riuscito ad inserire anche in composizioni lunghe e articolate soluzioni più dirette. Anche le curate armonie a più voci contribuiscono ad arricchire il suono pulito e a dare maggiore immediatezza. Non sono comunque semplici “canzoncine”, perché restano i passaggi strumentali eseguiti con maestria e non si fanno attendere i classici cambi di tempo e di atmosfera. “The queen”, in particolare, è uno squisito episodio interamente strumentale che alterna soluzioni barocche con chitarra acustica, tastiere e tamburello in bella evidenza e un incantevole prog di stampo cameliano nel quale Stolt può mettere in luce il feeling che è capace di trasmettere con l’elettrica. La conclusiva title-track di dodici minuti riporta i Flower Kings su una costruzione ad ampio respiro, nella quale emergono le influenze di Yes e Beatles e ci sono più spazi per gli strumenti per intrecciarsi e lanciarsi in solos piacevoli. Alla fine, si tratta di un altro buon album dei “Fiori”, solare, melodico, ben suonato, onesto, senza pezzi brutti e senza capolavori epocali. Hanno fatto di meglio. Hanno fatto di peggio. I fan saranno contenti.
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