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Dopo averci abituati a corposissimi album che uscivano praticamente a cadenza annuale, i Flower Kings di Roine Stolt hanno deciso nel 2007 di prendersi una pausa. Come ben saprete, si tratta di un gruppo che ha quasi spaccato in due sia il mondo degli appassionati che quello della critica. Da una parte i superfan li hanno continuati ad idolatrare ogni misura, dall’altra un non indifferente numero di prog-seguaci è stato fin troppo feroce nei loro confronti. Ciò che è stato maggiormente rimproverato ai Flower Kings è stata una mancanza del senso della misura. Album e brani lunghissimi, esasperando quei cliché del rock sinfonico rappresentati dai cambi di tempo e di atmosfera, di lunghe parti strumentali, si sono prestati con facilità a non poche critiche. Eppure anche molti dei loro detrattori hanno sempre ammesso che con minutaggi diversi e minor dispersione delle idee la band avrebbe potuto ricevere considerazioni molto più positive. Non so cosa sia successo nei cinque anni che sono trascorsi tra “The sum of no evil” e “Banks of Eden”, fatto sta che Stolt e soci si ripresentano proprio con un lavoro più conciso, più vicino alla struttura di certi dischi di prog sinfonico degli anni ’70, ma senza mutare sostanzialmente il sound che hanno portato avanti da quando si sono presentati sulle scene verso la metà degli anni ’90. Una suite di oltre venticinque minuti ad occupare un ideale lato A e, a seguire, altri quattro pezzi la cui durata varia tra i sei e i sette minuti e quaranta. Prendiamo proprio la composizione di più lunga durata, “Numbers”, che in apertura presenta anche una certa aggressività, senza mai eccedere, ma che man mano ripresenta tutte quelle caratteristiche che i Flower Kings avevano mostrato nel corso degli anni: sviluppo lineare con influenze di Yes e Genesis, ma anche di Beatles, melodie vocali abbastanza dirette, ariose parti strumentali dove Stolt si produce in mirabili guitar-solos e dialoga a meraviglia con il tastierista Tomas Bodin, confermando un affiatamento eccellente. Le altre tracce non si discostano dal seminato e si lasciano ascoltare con piacere, con le loro melodie ariose, qualche virata verso il pienissimo yessound (“Pandemonium”) e col marchio dei “fiori” bene in evidenza. Come al solito l’accoppiata Flower Kings-Inside Out doveva comunque proporre anche versioni diverse dell’album e, oltre al singolo cd, è in vendita anche una edizione speciale in digipack, contenente un altro dischetto con quattro brani e un filmato con un’intervista alla band. Spicca in particolare il pezzo strumentale “Illuminati”, quasi in ottica Camel nei suoi deliziosi sei minuti e venti, con uno Stolt ispiratissimo e al meglio delle sue potenzialità (in effetti non mi spiego come sia possibile lasciare un gioiello del genere fuori dall’album “di base”). Eravate preoccupati? Eccoli qui! Sono tornati! Magari appena un po’ più sobri di come li avevamo lasciati, ma con un cd che non cambia di una virgola il loro stile che li ha resi tanto simpatici/antipatici. Per i fan sicuramente un ritorno valido oltre che graditissimo.
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