|
Un lungo doppio CD, per il noto Neal Morse, non è certo un evento particolare: lui fa parte di quella schiera di personaggi che, ben sapendo come gira il mercato, hanno un’ampia produzione e sfornano dischi con determinata continuità. In questo caso è un doppio live registrato durante il Question Mark Tour del 2006.
Una vera e propria ovazione accoglie l’entrata sul palco della band, proprio come in un normalissimo rock live show. Si avvia così la prima parte del concerto, interamente dedicata alla riproposizione del concept Question Mark. Quello che normalmente accade durante un concerto è che i brani dei lavori in studio possano o guadagnare o perdere in termini qualitativi. I fattori che determinano il miglioramento o il peggioramento sono multiformi e dipendono in gran parte dall’indirizzo cui vuol tendere l’esibizione. Qui siamo di fronte ad un evidentissimo calo e gli elementi che lo hanno determinato sono innanzitutto un clima “sbarazzino” che male si addice ad una musica che in studio evidenziava un certo “spessore” morale, non solo in termini prettamente musicali. Poi c’è il solito incattivimento delle chitarre, che sembra debbano sempre più tendere in direzione più metal (forse perché lo richiede il mercato?), diverse incertezze vocali e ritmiche completano un quadro non troppo positivo. E’ vero che il disco in studio poteva contare su strumentisti leader e ospiti, di alta levatura e che per evidenti diverse necessità la band in tour doveva essere diversa, ma direi la mancanza di un Portnoy, o di un Rudess e sicuramente anche di un Alan Morse nel bene e nel male, si fa sentire pesantemente, senza contare che il mistico tocco di Hackett è diventato un raspare metallico piuttosto dozzinale.
Il secondo CD, invece, riporta materiale principalmente da “One”, disco inferiore qualitativamente già in partenza. La versione live di questi brani è nuovamente penalizzante e spesso li rende scialbi hard pop allegrotti e dall’incidere AOR e spersonalizzato, come in “King Jesus”, spesso con sonorità non dissimili alle colonne sonore dei film a carattere religioso come nella suite iniziale “The Creation” che in studio aveva una sua funzione di lungo intro è che qui è mutata in un noioso rincorrersi di parti frammentate, poco coese e al limite del soporifero. Resta ancora abbastanza positivo il risultato del medley “Help Me/The Spirit and the Flesh”, che grazie a più intensi momenti sinfonici e di maggior apertura è rimasta meglio ancorata alla versione originale e meno deviata verso lidi Prog-Metal. Il disco si conclude con un altro lungo brano “Encore Medley: We All Need Some Light/Open Wide the Flood Gates/Solitar” ci sono è vero momenti molto carichi e di buona resa live, ma non riescono a riportare su un disco, che credo sia destinato a veri fans sfegatati.
|