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Tra cinquant’anni, ammesso di essere ancora in vita, qualche nipotino mi chiederà quale fosse stata la musica dei miei tempi. Potrò semplicemente rispondere il Rock o il Pop. Potrò dire di ricordarmi un periodo così buio che alla radio passavano solo musicacce Rap, Hi-Pop, R&B e chissà che altro. O magari potrò rispondere con orgoglio che la musica dei miei tempi era il Progressive. Se sarò in grado di farlo dovrò sicuramente ringraziare gente come Neal Morse. Conversione religiosa o no, non importa nulla. La strada di Damasco non è che un pretesto letterario. Possiamo correre dimentichi di un catechismo noioso, di citazioni da Pentateuco o da Vangeli vari. Possiamo anche pensare che i testi ci interessino perché scritti per il credo di chi li ha vergati. La cosa migliore, credetemi, è ascoltare questo CD come accadeva con “Relayer” degli Yes ai primi ascolti a metà anni ’70, quando per me, ma credo anche per molti altri, l’inglese era solo una cornice bella e perfettamente funzionale da affiancare alle corse rapide di Wakeman o ai nugoli di note di Howe e Squire.
Questo CD dal titolo quanto mai sintetico “?” è molto bello. È il perfetto nicchiare a ciò che in nicchia si vuole trovare. Se volgiamo un po’ troppo americano, ma, come sempre, nel senso più buono del termine.
Si tratta di un concept di grande impatto sonoro in dodici movimenti che si fondono uno all’altro e i temi si rincorrono sfuggono e ritornano in continuazione. Pertanto è piuttosto difficile analizzare brano per brano. Sicuramente restano impressi l’inizio che dopo pochi secondi parte in un mega prog, il movimento 4 “Sweet Elation” per le splendide tastiere e il 9 “12” per un incredibile assolo di chitarra, di intelligenza e forza unica, eseguito da un certo Steve Hackett (ricordate quella storiella che parla di allievi e maestri, bene … dimenticatela pure). Qualcuno si dice convinto che Morse sia cresciuto a pane e Genesis. Personalmente continuo a sentire lo spettro dei Beatles. Non vorrei sembrare un fissato, ma le parti cantate sono estremamente eloquenti.
Il lavoro è realizzato con strumentisti di elevatissima caratura e, se non fosse per la loro presenza, a brevi tratti sembrerebbe di essere finiti nella sountrack di qualche film di animazione sulla vita di Gesù, piuttosto che Giacobbe o sull’esodo.
Musicalmente la ritengo l’opera migliore di Morse solista. Un lavoro compatto, omogeneo, senza cadute (è vero ci sono un paio di stacchi Jazz-Funky nel 6° movimento “Solid As The Sun” ma ho deciso di attribuirli ad un chiaro e dovuto tributo al compianto Pierre Moerlen). Globalmente il lavoro dice quello che ci si aspetta, senza pretese di tracciare nuove vie, nulla di nuovo, certo. Forse è meglio così. Question mark.
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