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Ancora lui, ancora Fabio Zuffanti, ovvero il Leonardo da Vinci della musica, l'uomo al quale potete chiedere qualunque tipo di cimento nel campo d'Euterpe nella certezza che egli saprà restituirvi un capolavoro: commissionategli di tutto, da Mino Reitano a John Zorn, e vedrete che non vi tradirà!
Aries, l'ennesimo progetto del Nostro, è costruito essenzialmente sulla splendida voce di Simona Angioloni. Dall'incontro fatale fra i due - nell'arte ma anche nella vita - è scaturito questo magistrale esempio di folk progressive che cita il giusto ma non scopiazza mai, e che mantiene costantemente tese le corde dell'emotività. "Morning Song" tocca subito il profondo dell'anima, grazie alle delicate atmosfere generate dalla dolce Angioloni e dai tappeti tastieristici di Robbo Vigo. Bellissima la struggente melodia, come pure il tema eseguito dal flautista Carlo Barreca. Non mancano, peraltro, maestose aperture, e in particolare il finale ci conduce nell'alveo sinfonico/romantico. Lo stesso vale per la più concisa "Coming Back to Life", dove il suadente inizio, vicino per stile all'ultima Jenny Sorrenti, è contrappuntato da un improvviso ripieno strumentale, dove la chitarra di Fabio Venturini e la batteria di Pierpaolo Tondo hanno modo di scatenarsi con epicità à gogo. Praticamente perfetti i 13 minuti di "The Eye of the Storm", con un dosaggio ottimale di prog classico arricchito da quelle deliziose variegazioni alla Zuffanti che ben conosciamo, prima della toccante trama per organo e voce: la Angioloni dimostra tutta la sua bravura tecnica scorrazzando senza incertezze lungo l'intero registro. Da vera libidine lo stacco ai confini con l'hard, nel cui apocalittico sviluppo fa talora capolino, perché no, anche la Maschera di Cera. "It Struck Me Every Day" e "Crossing the Bar" si possono invece accomunare per un certo andamento pastorale venato di malinconia, e il cantato si fa simile a quello di Rose Podwojny degli indimenticabili francesi Sandrose, con cui gli Aries condividono gli accenti bucolici e le sfumature canterburiane. Un piano minimale trasporta nel fatato regno di "When Night Is Almost Done": l'intelligente chitarra a metà strada fra Steve Hackett e Phil Miller, il leggiadro organo con effetto Leslie, la progressiva vivacizzazione dove i vocalizzi si incastonano alla grande... Tutto è eccezionale in questo trionfo conclusivo.
Sei pezzi, sei circoletti attorno al numero della traccia nei miei personali appunti raccolti durante l'ascolto, a significare l'eccellenza delle medesime tracks: un en plein che quasi mai si verifica. Un evento, questo di Aries, davvero imperdibile per i fans devoti a Blackmore's Night, Kate Bush e Tori Amos: scopriranno un masterpiece assolutamente all'altezza.
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