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FABIO ZUFFANTI Ghiaccio Mellow Records 2010 ITA

Sembrano passati in un batter d’occhio, ma sono ormai trascorsi ben sedici anni da quando i Finisterre si sono affacciati sul mercato discografico con quell’omonimo debutto che ancora oggi fa esaltare i seguaci del progressive. Era il 1994 ed una delle menti di quel gruppo era Fabio Zuffanti, che fino ad oggi è riuscito a sfogare la sua sfrenata creatività in tutti quei numerosi progetti che quasi sempre hanno ottenuto un certo seguito dai progfan (Hostsonaten, Maschera di Cera, Aries, ecc.). Oggi su Zuffanti si potrebbe quasi scrivere un libro… Non un virtuoso del strumento, né un cantante perfetto, Fabio può vantare altre straordinarie qualità. Innanzitutto capacità compositive invidiabili; poi una fantasia fuori dal comune; infine, il fatto che, prima ancora di essere musicista è un appassionato di prog e non solo di prog... Sfruttando le sue doti è riuscito a creare gioielli sia con il gruppo che lo ha lanciato, sia con le numerose altre idee venute man mano durante il prosieguo della sua carriera. Inevitabilmente, anche i suoi album da solista meritano la massima attenzione. All’inizio del 2010 è uscito “Ghiaccio”, con cui viene sviluppato e migliorato il discorso intrapreso con la prova dell’anno precedente del disco omonimo. In questo lavoro Zuffanti canta (mostrando anche una certa maturità vocale), suona tutti gli strumenti e si mostra abbastanza distante da qualsiasi altra opera lo abbia visto protagonista in passato (piccolissime similitudini potrebbero essere viste con l’elettronica dei Quadraphonic o con il progetto Lazona dedito al post-rock); perciò non aspettatevi romanticismo, suoni vintage, parti strumentali ricercate, ecc. Anzi, per assimilare al meglio “Ghiaccio” dovete innanzitutto sgombrare la mente da qualsiasi pregiudizio e non dovete partire alla ricerca di fonti di ispirazione ben precise. Non che non ci siano influenze più o meno marcate; non che Fabio abbia realizzato un qualcosa di nuovo e originalissimo; però sia chiaro fin da subito che se volete del buon vecchio, caro e “sicuro” rock sinfonico questo non è certo il disco che fa per voi. Perché qui ci troverete minimalismo, elettronica, post-rock, cantautorato colto, vagiti canterburiani e moderna psichedelia, miscelati nelle giuste dosi ed in maniera tale da far venire fuori un’opera omogenea e ricca di spunti di valore. E’ incredibile come i timbri algidi scelti per le sue prove soliste riescano ugualmente ad incantare e a trasmettere un’aura fiabesca… Bastano poche note di tastiera, o una lenta e sonnolenta melodia vocale in lontananza, o delle atmosfere brumose, o delle ritmiche ipnotiche per catapultarci d’improvviso in un altro mondo, guidati docilmente e portati per mano dalla musica di Fabio. D’altronde, come si fa a resistere a “Cinque all’alba” (la traccia di chiusura, forse una delle cose più belle mai scritte dall’artista), che ci culla con nenie che fanno avvicinare due mondi apparentemente distanti come quello dei Sigur Ros (“citati” più volte durante l’album) e quello di Robert Wyatt? Negli altri brani continuano ad essere in evidenza i suoni sintetici, collegati spesso alla canzone d’autore e alla sperimentazione, come il miglior Battiato insegna. Insomma, non ci sono costruzioni articolate e complesse, ma un lavoro di base intelligente, a volte basato su pochi accordi, a volte sorretto da una ricerca sonora particolare, e dal quale si sviluppa un album pervaso da un mood malinconico che seduce ed affascina. A questo punto si potrebbe fare qualche elucubrazione su quanto questo cd possa rientrare nell’ambito del progressive… ma… conta davvero? E’ così importante “catalogarlo”? E poi potrei dirvi “sì, è prog!” per poi sentire le proteste di chi la pensa diversamente (e viceversa)… Che Fabio sia una delle possibilità per far aprire gli occhi a chi non riesce ad andare oltre la riproposizione continua di schemi precisi e ormai ultraquarantennali? Che possa trainare chi ha ammirato Finisterre e Hostsonaten ad ascolti più impegnativi, “diversi”, dai quali traspare un’evidente apertura mentale (che spesso manca al famigerato “progfan medio”)? Che abbia individuato una via “diversa” da seguire per arrivare a nuove meraviglie future? Non so se le risposte a queste domande saranno affermative; quello di cui sono assolutamente sicuro è che Zuffanti il suo irrefrenabile talento lo mostra anche con “Ghiaccio”. Hats off!!!


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Peppe Di Spirito

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