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Dopo il nuovo stop (stavolta definitivo?) all’attività dei Finisterre, ecco che l’irrefrenabile Fabio Zuffanti punta su un nuovo progetto che viene indicato come la più naturale “evoluzione” del gruppo che ha deliziato tanti amanti del prog a partire da quel magico debutto del 1994. Il nome scelto è Rohmer, omaggio al celebre regista e dichiarato intento di provare a dare un quadro sonoro delle atmosfere che caratterizzano il cinema d’autore francese. Il nucleo della band ruota ancora attorno a musicisti dell’area Finisterre e troviamo, oltre Zuffanti al basso, Agostino Macor e Boris Valle al pianoforte e alle tastiere e Mau Di Tollo alla batteria e percussioni, oltre numerosi ospiti che arricchiscono il disco con parti vocali o con suoni di flauto, tromba, sax, viola e chitarra elettrica. L’album, il cui artwork è curato dal sempre più affermato Davide Guidoni, è pregno di un mood molto malinconico e si apre a contaminazioni sonore che uniscono vecchio e nuovo, vintage e tecnologia moderna e permettono di far avvicinare stili musicali diversi, dal prog all’elettronica, dal jazz all’avanguardia, dal post-rock al minimalismo. Non è un caso che Zuffanti afferma apertamente che le molteplici fonti di ispirazione rispondono ai nomi di Miles Davis, King Crimson, Brian Eno, Sigur Ros, David Sylvian, Mark Hollis, Eric Satie, Morton Fieldman e altri ancora… L’apertura è subito col botto! “Angolo 1” è una composizione decisamente magnifica che mostra appieno quell’eredità proveniente dai Finisterre, con una grazia assolutamente affascinante: inizio delicato di piano, sorretto prima dal basso e poi anche dalla viola e dalla chitarra acustica; verso un minuto e venti si fa largo un flauto suadente e fiabesco ed iniziano evoluzioni strumentali a cui ci avevano abituato i Finisterre, fino allo spettacolare finale guidato da un guitar-solo semplicemente fantastico. Altri due brani simili a questo sono “Wittgenstein mon amour 2.12” e “Angolo due”, dai quali viene fuori il lato più romantico dei Rohmer, grazie soprattutto agli elegantissimi passaggi di piano e agli inserimenti raffinati di flauto e di tromba, che quando è presente regala sempre emozioni. Passando agli altri pezzi, diciamo che “Ecran magique” e “Cifra3”, con le loro atmosfere leggerissime e suggestive, farebbero bellissima figura su un qualsiasi album dei Sigur Ros; “V. (moda reale)” è una canzone molto delicata, su un testo di Keats, con piano e voce in evidenza, che rimanda ai momenti più melodici degli Hostsonaten; “Metodiche di salvezza” è sorretta invece da voci radiofoniche in lontananza, semplici accordi di piano, flauto e sax languido e elegiaco. “Lhz” è la traccia in cui più si uniscono la brillantezza dei Finisterre di “In ogni luogo”, un sound à la Sylvian e i tentativi di avanguardia, che si massimizzano poi nella lunghissima “Elimini-enne”. Quest’ultima rappresenta il momento più sperimentale ed onirico dell’album: in ventidue minuti è trasmesso un forte senso di tristezza e di inquietudine, attraverso dissonanze ed un sound freddo e minimalista, con tastiere e loops a creare sfondi particolari, effetti elettronici, brevi note buttate lì dal piano, dai fiati e dalla viola. Forse a volte questa “voglia di ricerca” si spinge in qualche lungaggine di troppo, ma i risultati finali sono abbastanza intriganti. E veniamo alle conclusioni… L’album è incantevole, ancorché non privo di imperfezioni (individuabili proprio in quelle prolissità sperimentali cui abbiamo appena fatto cenno), contiene musica a tratti sublime, ci permette di rincontrare artisti capaci di ammaliare con le loro idee e la loro personalità e, partendo da esperienze passate, sembra aprire una nuova strada verso mondi musicali ancora da scoprire per bene e che potrebbero portare alla luce nuove meraviglie.
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