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Un nome ed una copertina (in formato mini-LP) decisamente “dark”, la riproduzione, all’interno di un’opera del russo Vasily Vereschchagin intrisa di morte e desolazione, un booklet che si apre con artwork dalle tinte fosche e informazioni quasi nulle su questo gruppo denominato L’Ombra della Sera, indicando solo gli strumenti suonati (mellotron, minimoog, Fender Rhodes, theremin, glockenspiel, basso, batteria) e i nomi, o meglio gli pseudonimi, di quelli che dovrebbero essere altri musicisti coinvolti, qualcuno di stampo britannico, qualcuno italiano, fino ad arrivare anche ad un improbabile Il Nebbia che si cimenta al contrabbasso. E che dire di un ancora più improbabile Count Matthaeus Malleus de Campanari alla produzione esecutiva? Detta così sembra un’uscita discografica avvolta nel mistero, qualcosa à la Devil Doll, anche se non priva di un certo umorismo, che una quindicina di anni fa avrebbe fatto scervellare mezzo mondo prog. Eppure, già prima che il disco venisse pubblicato, grazie a internet si era diffusa la notizia di chi si cela dietro questo monicker, ossia Fabio Zuffanti, Agostino Macor e Mau Di Tollo, coadiuvati da Alessandro Corvaglia, Andrea Monetti e qualche altro ospite. A questo punto chi segue il prog italiano recente ha già individuato i musicisti della Maschera di Cera, band che si è ben affermata nell’ultimo decennio con un progressive sinfonico strettamente legato al rock sinfonico d’annata che rimanda ai vari Museo Rosenbach, Metamorfosi, Balletto di Bronzo, ecc. La combriccola si è riunita e, partendo dalla comune passione per gli sceneggiati italiani degli anni ’60-’70, ha pensato bene di reinterpretare a modo proprio le sigle di alcuni di essi. Un lavoro, insomma, che vede affinità con quel “Symphonic holocaust” che col nome di Morte Macabre alcuni musicisti svedesi realizzarono negli anni ’90 con rielaborazioni di temi di film horror (tra cui spiccava una fenomenale versione di “Apoteosi del mistero” di Fabio Frizzi). Ma torniamo all’Ombra della Sera, che punta su cinque composizioni che vedono la firma di Enrico Simonetti, Riz Ortolani, Berto Pisano e Romeo Grano. Si parte subito in quarta con gli oltre undici minuti di “Gamma”: sound liquido, conturbanti vocalizzi in lontananza, tratti vagamente floydiani, ma atmosfera in crescendo che sfocia, dopo i tre minuti, in una magnifica esibizione tastieristica, che si prolunga fino alla fine. “Ritratto di donna velata” è un pezzo abbastanza breve intriso di malinconia e delicate melodie, mentre più spigliata risulta “La traccia verde”, un po’ in stile Goblin, un po’ aperta a contaminazioni col jazz-rock. Flauto e atmosfere sinistre guidano “Il segno del comando”, sorta di marcia rituale e con una pittoresca parte cantata da Corvaglia in romanesco. A concludere il cd una “Ho incontrato un’ombra” espansa fin quasi a raggiungere i diciotto minuti, durante i quali i musicisti possono lanciarsi alla grande e cacciar fuori al meglio il loro talento: fenomenale l’apertura affidata a una tromba quasi davisiana, splendidi gli sviluppi che vedono un keyboards-playing a volte maestoso, a volte avvolgente, la robustezza di un basso distorto, i cambiamenti improvvisi di tempo e di atmosfera, le divagazioni in piena libertà d’impronta jazzistica col piano elettrico in evidenza, persino echi del vecchio caro Generatore Van der Graaf e dissonanze crimsoniane non troppo spinte in un tour de force strabiliante e coinvolgente. Be’, qualche nome a cui un lavoro del genere è riconducibile lo abbiamo fatto e, magari lo ribadiamo, perché chi ha amato le opere di Goblin, Van der Graaf Generator, Museo Rosenbach, Morte Macabre, oltre che, ovviamente, quelle dei vari progetti di Zuffanti, può acquistare a scatola chiusa questo cd. Album quindi di grande qualità, non troppo distante da quanto già proposto dalla Maschera di Cera, in omaggio sia agli sceneggiati, sia alla grande musica degli anni ’70, il cui spirito rivive anche grazie alle affascinanti timbriche vintage.
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