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1994: i Finisterre debuttano con un album che per gli appassionati prog è rimasto a suo modo storico. Per Fabio Zuffanti, bassista della band, è l’inizio di una carriera che prosegue ancora oggi con una moltitudine di progetti. In venti anni sarebbero da ricordare una trentina di dischi tra solisti e quelli realizzati con le altre formazioni che lo vedono impegnato, la pubblicazione del libro “O casta musica”, la direzione artistica dell’etichetta Mirror Records, concerti un po’ in tutto il mondo e svariate altre collaborazioni. Molto attivo sui social network e con il suo blog, Fabio aveva già incuriosito con piccole anteprime e annotazioni riguardanti questa uscita di inizio 2014 e “La quarta vittima” è diventato un disco molto atteso nel giro degli appassionati prog. Se, infatti, i precedenti lavori solisti di Zuffanti, pur mostrando dei legami col progressive rock, finivano comunque con il distaccarsene, prediligendo un orientamento più vicino a certo pop elettronico, al cantautorato ricercato, alla sperimentazione, stavolta il nostro aveva già fatto capire che si sarebbe immerso nel nostro amato genere al 100%. Riunito intorno a sé un cast eterogeneo di musicisti, tra i quali riconosciamo alcuni nomi noti nel mondo odierno del prog italiano, come l'enfant prodige delle tastiere Emanuele Tarasconi (degli Unreal City), il batterista Paolo Tixi (del Tempio delle Clessidre), Luca Scherani, Agostino Macor e la chitarrista Laura Marsano (recente new-entry nella Maschera di Cera), Fabio è in quest’occasione soprattutto in “cabina di regia”. Compone, canta, è impegnato con samples, loops, bass pedals, ma più che altro “dirige” i suoi compagni di avventura in un’esaltante esperienza musicale. Sembra quasi voler sfogare le sue passioni, mostrando per l’ennesima volta capacità compositive fuori dal comune e spingendo i musicisti verso impennate strumentali liberatorie in cui vengono omaggiati ora i King Crimson, ora i Van Der Graaf Generator, ora i Pink Floyd, ora i grandi del prog italiano. Eppure non si avverte mai una sensazione di “già sentito”, visto che Fabio riesce sempre ad inserire tanta farina del suo sacco, a mostrare quella spiccata personalità che porta avanti già da diversi lustri e a creare delle dinamiche imprevedibili e cariche di pathos. A parti vivacissime, caratterizzate da ritmiche indiavolate, così, fanno seguito momenti più riflessivi, intimistici e onirici e tanta cura è data anche all’aspetto dei testi, con liriche stravaganti che traggono spunto dai racconti surreali presenti nel libro "Lo specchio nello specchio" di Michael Ende. L’album si apre con il brano “Non posso parlare più forte”, che parte con il monologo finale del film “La montagna sacra” di Alejandro Jodorowskiy, mentre il piano rifinisce in sottofondo. Dopo meno di un minuto si vivacizza tutto con un travolgente rock sinfonico guidato inizialmente da chitarra, tastiere e flauto; verso i cinque minuti sono le tastiere a introdurre la voce filtrata di Fabio (mentre il suono affascinante del mellotron comincia a fare capolino), che, com’è risaputo, non ha nelle doti canore le sue migliori qualità, ma che riesce ad inserirsi alla perfezione nel contesto creato per l’occasione. Spazio poi per il primo assolo del disco della Marsano, che ci delizierà di continuo con il suo tocco gilmouriano. Finale in crescendo con una fuga strumentale in cui compare anche il sax e si va a concludere così, dopo quasi dodici minuti, una cavalcata impressionante e fantastica. La seconda traccia “La certezza impossibile” avrebbe fatto bellissima figura sull’ultimo album dei Finisterre con le sue melodie raffinate che lasciano spazio ad una certa orecchiabilità e che sfociano nella seconda metà del brano in un altro guitar-solo da favola. Rock sinfonico all’italiana per “L’interno di un volto”, che ci porta in direzione Maschera di Cera, mentre con la title-track cominciano le prime sorprese. Si tratta, infatti, di una composizione che ci proietta verso un vibrante jazz-rock, guidato spesso dai fiati, ma ricchissimo di intrecci e tessiture e pronto ad aperture melodiche bizzarre quando subentrano le parti vocali. “Sotto un cielo nero” riporta inizialmente verso territori sinfonici, con un romanticismo dall’aura misteriosa e un po’ dark e con atmosfere particolari rifinite dalle tastiere e da un sax utilizzato alla maniera dei Van der Graaf Generator, ma prima del finale ci si sposta di nuovo sul fronte jazzistico, con meravigliose evoluzioni di pianoforte. “Il circo brucia” mostra, invece, la voglia di mettere in pratica gli insegnamenti dei King Crimson del periodo ’73-‘74, con una tensione nervosa palpabile fin dalle prime battute e con gli abili intarsi di chitarra elettrica e sax stemperati dagli inserimenti sempre affascinanti del mellotron. E si arriva alla fine con “Una sera d’inverno”, magistrale ed elegiaca, parte come ballata per piano, violino e voce, ma si va a concludere con l’ennesima esecuzione da pelle d’oca della Marsano, che porta a termine il disco con un crescendo di emozioni fenomenale. Chissà, forse la ricerca di una perfezione assoluta, in questo caso, può far sembrare il lavoro eccessivamente studiato a tavolino, ma sostanzialmente si fa fatica a trovare difetti e punti e deboli al cd, che può essere annoverato sicuramente tra le migliori pubblicazioni italiane degli ultimi anni. E' facile prevedere che questo disco lascerà un segno forte, soprattutto per chi ha seguito Fabio nella sua intera carriera. Complesso al punto giusto, ma con tanta attenzione anche al feeling, dietro tracce pur diverse stilisticamente, “La quarta vittima” fa avvertire chiaramente un’unica mente, un’omogeneità di intenti, un deus ex machina ispiratissimo e pieno di idee. E offre anche l’ennesima conferma che se c’è un "Mister Prog" in Italia, per le proposte che abbiamo avuto modo di ascoltare da venti anni a questa parte, va individuato sicuramente nella figura di Fabio Zuffanti.
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