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Sembrano davvero lontani i tempi delle copertine chiassose, coloratissime e ricche di particolari e di personaggi strambi, nonché di quel new-prog seducente, dalle epiche cavalcate strumentali condite da guitar-solos floydiani, che tra gli anni ’80 e ’90 ha catturato le attenzioni di numerosi appassionati. I Pendragon, dopo “Not of this world”, ultimo album con queste caratteristiche, datato 2001, hanno voluto perseguire una sorta di svolta che, a partire dallo stile proposto, si è estesa anche all’accompagnamento dell’artwork. I toni, sia musicali, sia dei colori di presentazione visuale, si sono fatti più scuri, la chitarra più ruvida, i ritmi più possenti. E il risultato, con gli album “Pure” e “Believe” non è stato di massimo gradimento per i fan di sempre. Con il nuovo lavoro “Passion”, Nick Barrett e soci sembrano fare parzialmente marcia indietro. Se la title-track, che apre il lavoro, mantiene fin dalle prime battute, con un riff quasi feroce, quel sound più aggressivo dei suoi predecessori, un po’ dark ed un po’ simile agli Arena del post “The visitor”, con la successiva “Empathy” le cose cominciano a cambiare. Inizialmente quest’ultima segue la scia dell’opener, riprendendone persino il ritornello, ma giunti a 4’40’’, nonostante una chitarra ancora distorta, le sonorità si fanno un po’ più compassate e verso i sette minuti parte l’assolo della sei corde che, finalmente, rievoca i fasti del passato. Sognante, lineare, equilibrato, liberatorio, pienamente gilmouriano. Esattamente ciò che Barrett è capace di fare meglio. Il finale, poi, è tutto opera di Clive Nolan, che con il piano e le tastiere crea suggestioni dapprima romantiche e poi sinfoniche e maestose. Verrebbe da dire “Bentornati, cari Pendragon!”. Le successive composizioni, tuttavia, confermano solo in parte questi buoni propositi. Se infatti “This green and pleasant land”, “Skara Brae” e “Your black heart”, con le loro incantevoli melodie, gli splendidi interventi solistici e gli incroci di chitarra e tastiere, farebbero bellissima figura su album del calibro di “The world” o “The Masquerade Overture”, in “Feeding frenzy” e “It’s just a matter of not getting caught” (pur finemente costruiti tra cambi di tempo e lodevoli intrecci strumentali) la band rispolvera chitarre nervose e ritmi ossessivi, risultando non completamente convincente. Il bello dei Barrett & Co. era stato, fino a qualche anno fa, che bastava ascoltare poche note di un loro brano per identificarli senza difficoltà; adesso, nonostante permangano certe similitudini con i lavori più recenti, sembra riproporsi quell’elemento di immediata riconoscibilità. Un po’ di nostalgia per il passato dei Pendragon continua ad esserci, ma “Passion” è un buon disco, con non pochi rimani al passato e non dovrebbe deludere i vecchi fan.
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