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A tre anni di distanza da “The key part 1”, Nolan dà vita alla seconda parte “The labyrinth”, che oggi ci viene riproposta in versione rimasterizzata dall’attivissima Metal Mind. Alla line up dell’esordio si è aggiunta una seconda voce, quella di Alan Reed (Abel Ganz, Pallas), mentre liriche e musiche sono sempre a cura di Clive Nolan. Se da un lato l’ingresso di un secondo vocalist contribuisce a diversificare il tessuto emozionale dei brani, dall’altro una sempre discreta batteria programmata conferisce maggiore “punch” alle cinque composizioni (tra cui tre suite!!) ed un senso di maggior completezza. Alla “morigeratezza” del primo album a nome SOAT, il sequel denota un mood più rock e sinfonico, anche se non mancano gli episodi più introspettivi in cui si inseriscono la voce della Hitchings (in primis) e di Reed. La prima suite “Darkworld “ è specchio fedele di quanto detto. L’unico strumentale, “Hijah”, ci mostra tutte le capacità di Nolan, qui unico protagonista del pezzo. La title track (divisa in tre parti) vede nella prima splendida sezione un duetto continuo tra la voce femminile e chitarra acustica di Karl Groom, una breve seconda “tranche” di semplice narrazione ed un crescendo finale strumentale per la terza parte. “The vision clears” è l’episodio “easy” dell’album che introduce la lunga piéce finale: “Endzone”. La soffusa introduzione, poi l’ingresso della voce di Reed, poi quella della singer , la chitarra acustica e le tastiere in sottofondo: l’atmosfera si mantiene eterea, come sospesa (Enya?). Nonostante ciò è comunque un’occasione persa ed il pezzo non decolla mai tranne che negli ultimi due minuti. Troppo poco. “The labyrinth” si fa senz’altro preferire a “The prophecy”, vuoi per una maggiore complessità, vuoi per una maggiore diversificazione del sound ed anche per la presenza del secondo vocalist ad alternarsi con la Hitchings, risultando nel complesso di piacevole ascolto. A venti anni dalla loro prima pubblicazione risultano però entrambi “superati”, magari più di album usciti molto prima di questi due “The key”. Ciò non toglie che l’operazione Metal Mind sia comunque meritoria e magari faccia da apripista al volume tre che era negli intenti della band all’epoca.
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